Issue #03
15 NOVEMBRE 2024
A Baku, in Azerbaigian, ha preso il via lunedì 11 novembre la COP29, il vertice annuale dell’ONU sul clima, presenti tutti i Paesi del mondo. Una COP che, stando ai piani ed alle decisioni delle COP precedenti, quest’anno dovrebbe dotare il sistema multilaterale di un nuovo obiettivo finanziario internazionale, ossia di una nuova cifra-obiettivo da mobilitare in finanza per il clima a favore dei Paesi più bisognosi.
Perché un nuovo obiettivo, perché quest’anno? Il precedente obiettivo, che prevedeva la mobilitazione su mercati pubblici e privati di almeno 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, fu lanciato alla COP di Copenaghen del 2009 e confermata nella successiva di Cancun un anno dopo. Solo nel 2022, tuttavia, i Paesi sono riusciti a raggiungere quella cifra minima, dopo che l’obiettivo era stato prorogato fino al 2025 durante la COP21 di Parigi. Ecco, quindi, che il 2024 arriva come l’anno in cui i Paesi devono accordarsi su un nuovo obiettivo, appunto, per il periodo post-2025. Quali le idee in campo?
Ad oggi sono ancora molte le opzioni sul tavolo e sarà necessario arrivare ad una decisione entro il 22 o 23 novembre. Prima di tutto il quantum, ossia, di quanto si parla, la cifra-obiettivo. Sembra che tra i Paesi stia crescendo il consenso verso un obiettivo da 1,3 mila miliardi di dollari, da mobilitare tra il 2025 e il 2030 o tra il 2026 e il 2035, secondo le diverse proposte. Ma quindi, quanti soldi ogni anno? E si parla di finanza pubblica o privata? Il dibattito su queste domande rimane molto accesso, con i Paesi in via di sviluppo che vorrebbero maggiori garanzie in termini di finanza pubblica e preferenza, da parte dei Paesi industrializzati, per erogazioni dirette piuttosto che per nuovi prestiti concessori, che potrebbero portare nuovo debito in bilanci statali già stremati dalle circostanze.
Il dibattito sul nuovo obiettivo finanziario tiene di fatto in ostaggio gli altri tavoli negoziali, in particolare quello sulla riduzione delle emissioni in vista dei nuovi piani clima previsti per il 2025. Questo programma di lavoro e ormai fermo dal 2022 e difficilmente l’Unione Europea o altri Paesi ambiziosi riusciranno da soli a uscire dall’impasse senza una mano da parte cinese, vista la contemporanea vittoria del negazionista climatico Donald Trump negli Stati Uniti pochi giorni fa.
La prima settimana di questa COP29 si chiude con un unico, ma importante obiettivo raggiunto, l’adozione delle regole e degli strumenti di garanzia necessari a far partire, nel 2025 e con 10 anni di ritardo, il nuovo Meccanismo di crediting sotto l’Accordo di Parigi ex. Articolo 6.4 dello stesso. Un meccanismo centralizzato sotto le Nazioni Unite che andrà a sostituire il vecchio Clean Development Mechanism di Kyoto, con l’aspettativa di poter mobilitare miliardi di dollari in finanza climatica per offsetting già entro il 2030 anche sfruttando a favore dell’azione globale progetti, competenze ed esperienze nel frattempo maturati nel settore privato del voluntary carbon market in assenza di regolamentazione internazionale.
Da questa COP caucasica non ci aspettavamo molto, ma forse molto si aspettava la Presidenza del vertice. Il doppio mandato di portare a casa risultati importanti sia sul nuovo obiettivo finanziario che sulle regole del Meccanismo di crediting potrebbe sembrare raggiunto per meta, ma la questione finanziaria ha ricadute ben più ampie e stratificate sul futuro dell’Accordo di Parigi rispetto all’altra, in particolare in termini di ambizione nella riduzione delle emissioni. Le emissioni globali continuano, infatti, a crescere piuttosto che diminuire, mentre il mondo sperimenta sempre più spesso e sempre più da vicino i disastri causati dall’inazione.
In questo senso, COP29 e poi COP30 in Brasile il prossimo anno rappresentano momenti fondamentali per rifare squadra, come umanità, verso esiti non necessariamente già scritti.
La COP29 è iniziata ufficialmente lunedì 11 novembre con la cerimonia di apertura alla presenza di Sultan Ahmed Al Jaber, Presidente della COP28, Mukhtar Babayev, Presidente della COP29 e Simon Stiell, Segretario Esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
La COP29 è stata soprannominata la COP della finanza. Questo perché quest’anno le 198 Parti dovranno trovare un accordo sulla definizione di un Nuovo Obiettivo per la finanza Climatica: NCQG, New Collective Quantified Goal. Si tratta di superare l’obiettivo annuo dei 100 miliardi di dollari fissato alla COP16 di Copenaghen (2009) per il periodo 2010-2025. Una COP importante, quindi, perché servirà a definire un nuovo obiettivo e un nuovo modello di finanziamento a vantaggio di tutti, che spazi da risorse pubbliche ai finanziamenti attraverso le Banche Multilaterali di Sviluppo fino ai contributi del settore privato.
Dopo COP27 in Egitto, COP28 negli Emirati Arabi, si tratta della terza COP consecutiva in un Paese produttore di fonti fossili. In Azerbaigian lo sviluppo economico è fortemente legato alle esportazioni di petrolio e gas. Ad oggi, i combustibili fossili rappresentano oltre il 90% dei proventi da esportazioni, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto interno lordo (PIL). Il 95% delle esportazioni dell’Azerbaigian è composto da petrolio e gas naturale, e i Paesi dell’Unione europea rappresentano oltre la metà delle esportazioni totali del Paese.
Quali sono le relazioni energetiche tra Italia e Azerbaigian? L’Azerbaigian esporta verso l’Italia il 57% del proprio petrolio, rendendo il nostro Paese il primo mercato di destinazione del petrolio azero. Per l’Italia, l’Azerbaijan è tra i primi fornitori di petrolio, con una media all’incirca del 15% dell’import totale. Allo stesso modo, il Paese si è rivelato un partner essenziale all’interno della strategia italiana di diversificazione dal gas russo. Ad oggi, infatti, Baku esporta circa il 20% della sua produzione di gas in Italia. L’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, rappresentando ad oggi circa il 16% dell’import totale di gas. Uno studio ECCO sulle relazioni, in ambito energetico, tra Roma e Baku conferma l’intensificarsi di una dipendenza dal gas azero. Dipendenza che si scontra con un forte calo della domanda di gas europea e rende difficilmente giustificabili nuovi investimenti infrastrutturali. Scommettere sul gas non solo è in contrasto con gli obiettivi firmati a Dubai l’anno scorso, ma espone l’Italia e l’Azerbaigian al rischio di investire in infrastrutture che rischiano una rapida obsolescenza e difficilmente potranno essere ripagate.
L’inizio di questa COP è stata preceduta dall’elezione di Donald Trump quale nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Vittoria che ha portato con sé lo spauracchio di un’uscita degli Stati Uniti dai tavoli negoziali sul clima. Già nel suo primo mandato, nel 2016, Trump decise di uscire dall’Accordo di Parigi. Ci sono buone probabilità che questo si ripeterà. Luca Bergamaschi, Direttore e Co fondatore di ECCO, ha provato a rispondere a: cosa significa la vittoria di Trump per il clima?
In questa COP Stati Uniti ci sono ancora. L’inviato speciale per il clima degli Stati Uniti, John Podesta, ha affermato che “anche se sotto la guida di Donald Trump il governo federale degli Stati Uniti ha messo in secondo piano le azioni legate al clima, gli sforzi per prevenire i cambiamenti climatici rimangono un impegno degli Stati Uniti e continueranno con fiducia”. Podesta ha sottolineato l’importanza di rispettare la volontà del popolo, aggiungendo però che la lotta al cambiamento climatico è più grande di un’elezione in un singolo Paese.
Dopo aver adottato l’agenda dei lavori, a sorpresa – perché non si vedevano progressi da anni – è stata approvata una bozza di testo sull’articolo 6.4 (si tratta del meccanismo per lo scambio di crediti tra i Paesi per la riduzione e la rimozione delle emissioni, qui per approfondimenti).
I primi giorni della COP sono dedicati al Segmento di Alto Livello, nel quale i Capi di Stato e di Governo si susseguono in plenaria per i loro discorsi con l’obiettivo di dare mandato politico al negoziato. Nonostante le numerose assenze, la COP resta il consesso diplomatico con la maggior partecipazione di leader, seconda solo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I leader africani e quelli di molti altri Paesi del Sud del mondo anche quest’anno erano presenti per chiedere, a gran voce, un solido accordo finanziario. Gli impatti stanno aumentando in tutti i Paesi del mondo, causando perdite per oltre 350 miliardi di dollari solo lo scorso anno, ma sono quelli più vulnerabili che pagheranno di più, con conseguenze per tutti.
Pochi purtroppo sono stati gli annunci degni di nota. Tra questi spicca il piano del Regno Unito di tagliare le emissioni del 81% al 2035. Un passo avanti importante, che leggiamo anche come un messaggio all’Europa: vediamo chi decarbonizza l’economia interna prima e meglio? La proposta della Commissione europea di un taglio del 90% delle emissioni al 2040, ora, non sembra più fantascienza. Toccante è stato l’intervento di Pedro Sánchez Pérez-Castejón, Presidente del Governo di Spagna che dopo la catastrofe di Valencia ha sottolineato come non si può più tornare indietro sulla transizione.
Molti Leader hanno sottolineato l’urgenza dell’azione climatica e la necessità di sbloccare i finanziamenti per realizzarla. Sono stati chiesti maggiori impegni economici da parte di Turchia, Mauritania e Kirghizistan. Tali finanziamenti devono essere equi e accessibili secondo Guinea-Bissau e Libia. La Repubblica Democratica del Congo e le Isole Marshall chiedono che i finanziamenti coprano l’adattamento e le perdite e i danni e non servano solo alla mitigazione. Le Isole Marshall sottolineano anche che i finanziamenti per il clima non possono essere prestiti a tassi di mercato e non dovrebbero finanziare i combustibili fossili. Sempre il Congo sottolinea l’importanza di alleviare l’onere del debito dei Paesi. Belgio e Maldive equiparano l’importanza della finanza pubblica con quella privata. Focus sull’adattamento da parte della Bulgaria. Diversi interventi hanno fatto riferimento alla necessità di strumenti finanziari innovativi (UNSG, Serbia, RDC, Barbados), di una maggiore trasparenza e responsabilità e di un rafforzamento delle capacità delle Banche Multilaterali di Sviluppo (UNSG).
La Cina ha mandato un messaggio forte sulla finanza e sul ruolo che può giocare nella transizione globale. Nel suo discorso alla COP29, il Vicepremier cinese, Ding Xuexiang, ha dichiarato che dal 2016, la Cina ha mobilitato volontariamente 24,5 miliardi di dollari per la transizione dei Paesi in via di sviluppo. Per la prima volta la Cina fa riferimento ai finanziamenti per il clima per i Paesi in via di sviluppo con un approccio da Paese sviluppato. La dichiarazione di Ding riflette la capacità e la volontà della Cina di calcolare i propri contributi finanziari per il clima ai Paesi in via di sviluppo, ponendo i contributi della Cina allo stesso livello – se non superiore – degli sforzi di molti Paesi sviluppati.
USA e Cina hanno tenuto un vertice sul metano, uno dei temi di maggior collaborazione tra Pechino e Washington negli ultimi anni. Il metano può essere collegato al 30% dell’aumento della temperatura globale dal 1850. Eliminare le emissioni di metano potrebbe essere uno dei modi più rapidi per mantenere l’obiettivo 1,5 °C.
E l’Italia? La presenza di Giorgia Meloni alla COP29 è stato un buon segnale per il multilateralismo e la Presidente ha invitato tutti i Paesi a condividere la responsabilità per il nuovo obiettivo finanziario. Meloni ha inoltre ricordato alcuni impegni presi alla COP28 di Dubai, tra cui il triplicare la capacità di rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica. La Presidente, tuttavia, non ha annunciato nessun nuovo impegno finanziario da parte dell’Italia. Nel suo intervento, Meloni ha dato sostegno al gas, contraddicendo gli impegni climatici di Dubai. Un regalo all’industria fossile, che però rischia di esporre consumatori e imprese ad alti costi dell’energia e mina gli obiettivi di sviluppo sostenibile..
La Premier, nel suo discorso, ha tralasciato il risultato principale della COP28 di Dubai, la progressiva uscita dai fossili, enfatizzando invece il ruolo di “gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata”. Tuttavia, con l’Accordo della COP28, i Paesi – compresa l’Italia, a guida Meloni – decisero di avviare un percorso di abbandono delle fonti fossili (tutte, carbone, petrolio e anche gas), mentre alle altre tecnologie (nucleare, biocarburanti, CCS) è stato riconosciuto un ruolo marginale.
La COP29 è stata anche l’occasione per il rilancio e il supporto all’iniziativa TeraMed. La prima operazione di implementazione a livello regionale dell’impegno di Dubai di triplicate le rinnovabili. L’iniziativa nasce da un gruppo – in crescita costante – di organizzazioni della società civile delle due sponde del Mediterraneo. Ad oggi ha ottenuto il sostegno di importanti attori internazionali, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), l’Unione per il Mediterraneo, l’organizzazione intergovernativa RCREEE della Lega Araba su rinnovabili ed efficienza energetica, e le più grandi associazioni mondiali dell’industria rinnovabile, riunite nella Global Renewables Alliance.
L’obiettivo è raggiungere il target di 1 Terawatt di energia rinnovabile neI Mediterraneo entro il 2030 è ambizioso, ma a portata di mano. Il Mediterraneo può offrire un modello di cooperazione innovativa e partitaria tra Nord e Sud globale. Il potenziale di rinnovabili nel Mediterraneo arriva fino a 4,5 TW. Gli investimenti potenziali ammontano a circa 120 miliardi di dollari all’anno e i posti di lavoro creati potrebbero ammontare a 3 milioni. Lo scenario apre, quindi, opportunità per l’elettrificazione dell’industria, dei consumi, dei servizi e dei trasporti.
Tuttavia, in Italia il supporto pubblico verso le energie rinnovabili è in netto ritardo. La coalizione E3F (Export Finance for Future) ha pubblicato il rapporto annuale delle agenzie di credito all’esportazione, come SACE, a sostegno della transizione energetica, rispetto agli impegni presi alla COP26, nel 2021 a Glasgow, di porre fine al sostegno finanziario pubblico per investimenti internazionali in combustibili fossili. I dati del 2023 mostrano un deciso riorientamento del supporto pubblico verso le energie rinnovabili: solo il 13% delle nuove operazioni è legato ai combustibili fossili, rispetto al 69% del 2015. L’Italia, con SACE è in netto ritardo. In termini assoluti, SACE ha garantito 584 milioni di euro per progetti in oil & gas, a fronte di soli 303 milioni per progetti climatici pari solo al 34% del totale.
Ci sono tante questioni su cui trovare un accordo tra le Parti. Dopo i primi giorni, in cui aumentavano le pagine di testi negoziali, verso la fine del negoziato sarà necessario fare sintesi. Il vero obiettivo di questa COP non sarà solo definire un numero per il Nuovo obiettivo di finanza climatica, ma sarà altrettanto importante che siano definite le modalità e la qualità di questi finanziamenti.
14-16 Maggio 2025
Allianz MiCo, Milan
Be a catalyst for
a decarbonised economy
Be a catalyst for
Change
Be a catalyst for
Climate Transition
Venerdì 15 novembre
Esame del disegno di legge recante Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027
Martedì 26 o mercoledì 27 novembre
Voto di conferma della composizione della nuova Commissione Europea (in plenaria)
Giovedì 28 novembre
EU Competitiveness council su mercato interno e l’industria – link
Venerdì 29 novembre
EU Competitiveness council su ricerca e spazio – link
Da lunedì 11 a venerdì 22 novembre
COP29 Baku, Azerbaijan
Lunedì 18 e martedì 19 novembre
Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G20, Rio de Janeiro, Brasile
Da lunedì 25 novembre a domenica 1 dicembre
Intergovernmental Negotiating Committee, 5° sessione, Trattato globale sulla plastica, Busan, Corea del Sud – link