Issue #05
17 DICEMBRE 2024
Non è successo quello che doveva: dal 2023 il cambiamento climatico è passato da solida constatazione scientifica – che qualcuno poteva però giocare a negare con il pubblico – a drammatica esperienza diretta nel quotidiano di molti, ovunque, incontrovertibilmente. Ma una reazione adeguata tarda ancora a prendere forma.
In questo quadro globalmente preoccupante, il pericolo emerge minaccioso anche nella nostra regione. Mentre le acque del nostro mare sono quelle che si scaldano più rapidamente al mondo, la regione nel suo complesso è la seconda per rapidità di progressione del riscaldamento. Nel Mediterraneo la temperatura media rispetto all’era pre-industriale è infatti aumentata di 1,5°C e il riscaldamento procede del 20% più rapidamente rispetto alla media globale. Un dato, questo, che se non contrastato da interventi di mitigazione potrebbe portare alcune aree a registrare aumenti fino a 2,2°C nel 2040, e 3,8°C nel 2100, con conseguenze catastrofiche per una popolazione mediterranea nel frattempo cresciuta esponenzialmente.
Vi saranno impatti destabilizzanti. Si prevede, ad esempio, che il livello del nostro mare possa aumentare di 20 cm entro il 2050, che possono sembrare pochi ma salinizzerebbero il delta del Nilo, sconvolgendo la sussistenza di milioni di persone; oppure un incremento della popolazione esposta alla precarietà idrica fino a 250 milioni di persone. Dobbiamo prepararci a queste e a molte altre conseguenze. Ma limitarsi a prendere le misure di tali impatti diretti vuol dire non comprendere che è in gioco una posta cruciale: l’identità e l’unità dell’Europa e una relazione costruttiva entro il più naturale ambito di internazionalizzazione dell’economia italiana, la sponda Sud e oltre essa l’Africa.
A guardare il planisfero ci si accorge che l’idea di Europa – come continente a sé stante – rappresenta un’anomalia. Usando i criteri di delimitazione dei continenti applicati per tutti gli altri, noi non dovremmo esistere: siamo solo una piccola appendice dell’Asia. Eppure, continuiamo a sentirci un continente a parte, anzi forse – con quel po’ di presunzione che una volta si chiamava eurocentrismo – ci sentiamo IL continente, il “vecchio” continente! Cosa ci distingue? Una certa unità culturale, persino fisionomica, un senso di comunità nella diversità. Pochi si interrogano sulle radici di queste unicità che non si basano sull’ isolamento del proprio territorio, ma qualcuno l’ha fatto: a cominciare da Montesquieu che vedeva l’identità europea come un prodotto dell’eccezione climatica che ha benedetto l’Europa dalla fine dell’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa.
Se Montesquieu aveva ragione – e con criteri contemporanei possiamo confermare che aveva visto giusto – significa che il clima dell’Europa ha giocato un ruolo determinante nel forgiare la nostra identità e nel definire i nostri interessi. Lo stesso vale per la sponda Sud del Mediterraneo che, con proprie marcate dinamiche identitarie è Africa senza realmente esserlo. Anche la sponda Sud del Mediterraneo ha beneficiato di una sua favorevole eccezionalità climatica che ne ha contribuito a distinguerne l’identità dal resto dell’Africa. Queste due eccezioni favorevoli erano interconnesse dall’azione stabilizzante del mare che condividiamo, e hanno creato le condizioni della rivoluzione agricola: la maggior strutturazione sociale da cui ha preso le mosse l’organizzazione umana in campagne coltivate e centri urbani che ancora è la nostra. È successo soprattutto attorno al Mediterraneo – fra Europa, Anatolia, Fenicia – perché un clima stabile e prevedibile è essenziale per pianificare i raccolti. Senonché, questo clima sta cambiando. L’inerzia stabilizzante di un vasto bacino d’ acqua come il Mediterraneo non funziona più se le sue acque immagazzinano e rilasciano nel sistema dosi crescenti di energia che si trasforma in caos. Non è solo una questione di venti e piogge e nemmeno dottamente antropologica: si tratta di economia, commercio, e geopolitica. Le basi profonde dei nostri equilibri diventano instabili e si profila un inasprimento distruttivo della conflittualità se ci poniamo in crescente competizione di fronte alle nuove scarsità e incertezze. Questo è uno scenario che nessuno può permettersi. Un Mediterraneo impoverito e destabilizzato – ben al di là delle preoccupazioni regionali – è una minaccia globale poiché vi convergono tre continenti con tutti i loro interessi.
Ma se osserviamo tutto questo con obiettività, scopriamo che il clima che cambia ci obbliga a collaborare e può quindi essere trasformato in un’inedita occasione di crescita giusta e sostenibile e quindi pace. Qui nel Mediterraneo ad alto rischio, stiamo probabilmente sperimentando l’approccio globale per vincere la battaglia climatica: una ricetta semplice, insieme si può. Finora, l’estrema diversità intorno al nostro mare ha portato alla frammentazione e troppo spesso all’incomprensione. Ma questa varietà può trasformarsi in complementarietà, ricchezza di conoscenze e risorse così diverse da bastare per mitigare e adattarsi a vantaggio di tutti.
Mentre l’Unione Europea vuole decarbonizzare, a sud del mare condiviso c’è un enorme potenziale solare, per esempio. A Nord ne abbiamo bisogno; ma anche a Sud, se il suo sfruttamento fosse solo locale non ci sarebbe abbastanza mercato per finanziare il suo corretto sviluppo. A Nord del Mediterraneo si assiste a una desertificazione in accelerazione, ma le risorse fitogenetiche – le piante e le colture tradizionalmente adattate ai climi più aridi – e l’esperienza millenaria su come valorizzarle appartengono attualmente al Sud. Ciascuno di noi terrà per sé ciò che ha? La sfida climatica ci indica che la strada dell’integrazione costruttiva è l’unica possibile. Essenziale – ma forse non intuitivo nell’incertezza che ci attende e che farebbe invece presagire rinunce – è però capire che ne deriva l’opportunità di un nuovo ciclo di espansione economica sostenuta – e finalmente equilibrata, perché tutti partecipano a vantaggio di tutti – e non rinunce. Un’espansione che, paradossalmente, mentre cerchiamo di occuparci di clima ci regala la pace in una regione in cui le diseguaglianze sono da millenni motore di conflitti.
Quali saranno gli effetti del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) dell’Unione Europea nel Mediterraneo? Difficile prevederlo oggi.
Il CBAM entrerà in vigore dal 2026 con una fase transitoria. Il meccanismo imporrà gradualmente un’imposta proporzionale alle emissioni di prodotti ad alta intensità emissiva quali alluminio, idrogeno, cemento, elettricità, fertilizzanti, e acciaio importati da Paesi terzi verso l’UE. Tale imposta sarà calibrata in modo da equiparare i costi dei prodotti tra i produttori europei, soggetti a meccanismi di pricing del carbonio (EU ETS[1]) che incidono sul costo finale delle produzioni, rispetto a produttori extra EU, per i quali non esistono tali restrizioni normative rispetto alle emissioni di gas serra nei processi produttivi.
Questo meccanismo è stato pensato per riequilibrare il rischio di delocalizzazionedelle produzioni in Paesi senza vincoli alle emissioni e, al contempo, orientare la domanda verso prodotti più ‘verdi’. Tuttavia, in assenza di meccanismi per favorire gli investimenti in tecnologie e processi di produzione più ‘puliti’ e sostenibili, potrebbe tradursi esclusivamente in una ‘barriera’ all’accesso e allo sviluppo economico dei partner commerciali dell’Europa e in un incremento dei costi finali dei beni per i produttori europei. Un tale effetto potrebbe isolare l’Europa e ostacolare la trasformazione industriale necessaria affinché gli obiettivi clima siano effettivamente raggiunti a livello globale e non solo europeo. È necessario, quindi, tenere conto di queste conseguenze soprattutto rispetto ai partner commerciali più ‘vicini’, come quelli del Nord Africa, anche in relazione alle interconnessioni delle catene del valore su scala globale.
Al di là dei rilevanti scambi di prodotti petroliferi e gas[2], Francia, Italia e Spagna sono tra le prime destinazioni commerciali per la manifattura dei Paesi nordafricani.
Guardando ai settori manifatturieri, l’entità degli scambi commerciali tra il nord Africa e l’Europa è mostrato nella figura seguente.
Esportazioni della manifattura dai paesi del Nord Africa verso la sponda nord del Mediterraneo [3]
I fertilizzanti e i prodotti chimici inorganici, tra cui ammoniaca e idrogeno, hanno raggiunto i 3,8 miliardi di dollari[4] .In questo settore, l’Egitto ha esportato il 47% del valore, seguito dall’Algeria con il 30%. Il settore siderurgico ha raggiunto circa 1,3 miliardi di dollari, con l’Egitto che esporta il 50% e la Tunisia il 25%. Infine, l’alluminio e il cemento, rispettivamente ~0,7 miliardi di dollari e ~0,5 miliardi di dollari, hanno visto una quota dell’Egitto pari al 74% e al 34%.
Guardando ai settori non ricompresi nel CBAM ma, comunque, soggetti o che saranno soggetti all’EU ETS dal 2026 in poi, il settore automobilistico (automobili, trattori, camion e ricambi) ha raggiunto circa 5 miliardi di dollari, con il Marocco che spicca tra i Paesi produttori ed esportatori (94%). Nel 2022, inoltre, il settore tessile ha raggiunto circa 6 miliardi di dollari e vede una quota significativa del Marocco (48%), seguito dalla Tunisia (30%) e dall’Egitto (21%). L’export alimentare ha raggiunto i 5,6 miliardi di dollari, con il Marocco che ha esportato il 70% del valore totale.
Le principali esportazioni da Francia, Italia e Spagna verso il Nord Africa includono invece cereali (la Francia ha scambiato circa 2,5 miliardi di dollari con Marocco e Algeria), macchinari, apparecchiature meccaniche e relativi componenti.
Dai dati, il CBAM influenzerà le economie del Paesi del Nord Africa in maniera molto diversificata. Applicando un prezzo del carbonio ai prodotti sopracitati, renderà questi prodotti più costosi per gli importatori dell’UE e probabilmente meno competitivi rispetto alle alternative a basse emissioni di carbonio, a meno che gli attuali esportatori non mettano in atto misure di decarbonizzazione di queste produzioni o misure di pricing del carbonio equivalenti a quelle europee.
Tra i Paesi del Mediterraneo, l’Algeria è forse quello che rischia di subire le conseguenze maggiori, il che, tra l’altro, potrebbe riguardare l’Italia più da vicino rispetto ad altri Paesi europei. Dopo il gas, infatti, il Paese esporta verso l’UE principalmente fertilizzanti, ammoniaca e idrogeno[5] ,dove ha operative più di 140 aziende, nonché acciaio (dove conta 7 aziende principali che impiegano più di 3.000 lavoratori), cemento (in cui impiega 12.000 lavoratori) e allumina[6] . Tutti prodotti che ricadono all’interno del CBAM e per cui l’Italia dipende da importazioni estere con ripercussioni di prezzo.
Paesi come l’Egitto, con una economia più diversificata e integrata[7] o come Marocco e Tunisia, potrebbero essere meno impattate in quanto specializzate in settori diversi, come la produzione automobilistica, l’alimentare e le bevande e il tessile. Non è da escludere, tuttavia, una futura estensione di meccanismi come il CBAM su altri settori per cui la valutazione degli effetti di una norma di questo tipo, sia rispetto alle immediate ripercussioni commerciali e di costi, sia sull’effettivo contributo verso la lotta al cambiamento climatico è un passaggio necessario.
Il CBAM, nel suo attuale impianto, sembra avere più i tratti di una misura protezionistica, che di una leva per promuovere la trasformazione industriale in linea con la decarbonizzazione in Europa e nei Paesi del Nord Africa. I Paesi nordafricani, allo stato attuale, potrebbero infatti avere meno accesso alle tecnologie e agli investimenti necessari per la decarbonizzazione, e avere quindi difficoltà ad adattarsi rapidamente. Allo stesso modo, i produttori europei vedrebbero incrementi di costi di produzione con ripercussioni competitive, in particolare per i Paesi a forte vocazione di export come l’Italia. Per questo motivo, l’applicazione del CBAM in un quadro di cooperazione e supporto regionale che possa prevedere anche l’applicazione di misure di armonizzazione come meccanismi di pricing della CO2 equivalenti all’EU ETS dovrebbe diventare una priorità della nuova Commissione UE.
L’area mediterranea ben si presta ad essere un laboratorio di nuovi meccanismi di collaborazione per uno sviluppo economico basato sulla reciprocità e sinergia di azione tra i Paesi dell’area. Il nuovo mandato della Commissione mette al centro della propria azione la sfida della competitività dell’Europa nell’ottica della decarbonizzazione e adotta, per la prima volta, uno sguardo privilegiato verso l’area Mediterranea con la nomina di un Commissario dedicato. Esiste, quindi, un’opportunità nel valutare le conseguenze di meccanismi unilaterali come il CBAM e, potenzialmente, modificarli per far sì che siano più efficaci verso il raggiungimento degli obiettivi clima, non solo in Europa, ma accelerando gli investimenti in tecnologie più ‘pulite’ anche in Paesi terzi.
[1] Emission Trading Scheme definito dalla Direttiva Europea 2003/87/EC
[2] Nel 2022, Algeria, Egitto e Libia hanno scambiato prodotti petroliferi e gas per circa 50 miliardi di dollari. L’Italia ha riesportato prodotti raffinati per circa 3 miliardi di dollari nei paesi nordafricani e la Spagna per 1,8 miliardi.
[3] I valori rappresentano gli scambi tra i 5 Paesi del Nord Africa e Italia, Francia, Spagna, Grecia e Turchia
[4] I valori economici sono riferiti sempre al 2022.
[5] Occorre sottolineare che idrogeno e ammoniaca fanno parte della catena del valore dei fertilizzanti stessi.
[6] Dati forniti dal centro di ricerca pan-arabo RCREEE del Cairo (Regional Center for Renewable Energy and Energy Efficiency)
[7] Il Paese conta infatti 9 aziende principali nel settore siderurgico, più di 9.000 aziende chimiche e più di 17.000 aziende nel settore dei metalli non ferrosi – Dati forniti dall’ufficio UNIDO (United Nations Industrial Development Organization) del Cairo
14-16 Maggio 2025
Allianz MiCo, Milan
Be a catalyst for
a decarbonised economy
Be a catalyst for
Change
Be a catalyst for
Climate Transition
Camera dei Deputati:
Martedì 17 dicembre
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre 2024
Giovedì 19 dicembre / Venerdì 20 dicembre
Seguito dell’esame della mozione Orlando ed altri n. 1-00374 in materia di politiche industriali
Giovedì 19 dicembre / Venerdì 20 dicembre
Seguito dell’esame delle mozioni Richetti ed altri (n. 1-00371) e Scutellà ed altri (n. 1-00372) concernenti iniziative per il rilancio della competitività europea, in relazione al “Rapporto Draghi”
Entro 31 dicembre
Approvazione della legge di bilancio
Giovedì 19 e venerdì 20 dicembre
Consiglio Europeo – agenda
A NetZero Milano crediamo fermamente che la necessità di un’ambiziosa azione industriale per il clima non debba mettere in secondo piano le sfide del mantenimento della competitività, per superare i potenziali rischi della deindustrializzazione – continuando a muoversi lungo percorsi di giusta transizione.
Per questo ci impegniamo a offrire ai nostri partecipanti, espositori e visitatori un evento che non sia autoreferenziale o celebrativo. Al contrario, non vogliamo perdere di vista il rapporto qualità-prezzo dell’evento e il suo vero orientamento al cliente.